Trieste, notti corte e vento da nord. Un corridoio a calce sotto il Porto Vecchio, una chiave USB con tre parole – rotaia, idrogeno, sponda – e una scia che risale fino al Baltico. Alvise, imprenditore di cantieri che pensa in diagonali e minuti, e Marta, mente operativa dal lessico affilato, entrano nella “cucina” dei porti: dove i fogli sono ferri, i DDT parlano e le sirene stanno spente. Tra pedinamenti sul Canale di Zaule, un abbordaggio soft su motobarca e un network di facciate che cambiano nome, la traccia porta a Gdańsk (Danzica) e rientra a Koper/Capodistria, con l’ombra dello SVR che tiene il tempo. Due operatori GOI affiancano Marta in manovre sobrie — ROE minime, PID prima del contatto, SSE essenziale — mentre la Capitaneria chiude i varchi “a minuti dispari”. Nel terzo capitolo della serie Cantieri d’Ombra, Victor Zorzan firma un thriller civile e portuale: niente retorica, molta misura. La posta è semplice e feroce: togliere un secondo al trucco perché torni a parlare il mestiere. Il resto sono luci di scena.