Bruno Del Medico - La metafisica del gatto di Schrödinger (2025)
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Nel 1935, Erwin Schrödinger, brillante fisico austriaco, propose un esperimento mentale destinato a diventare un'icona culturale e un enigma filosofico. In un momento in cui la fisica quantistica iniziava a scuotere le fondamenta del pensiero scientifico, Schrödinger immaginò un gatto chiuso in una scatola, intrappolato in una situazione tanto assurda quanto illuminante: vivo e morto allo stesso tempo, almeno fino a quando un osservatore non avesse aperto il coperchio della scatola. Per chi non mastica i dettagli della meccanica quantistica, il paradosso può sembrare un’assurdità. E, in effetti, questa è proprio la sua forza. Schrödinger non cercava di definire un nuovo principio fisico. Piuttosto, egli voleva sottolineare le strane conseguenze di una teoria ancora giovane. Quel gatto, idealmente collocato al limite tra due stati opposti, è diventato molto più di un esperimento concettuale. È uno specchio che riflette i paradossi della natura, della percezione e persino della nostra cultura. Il paradosso affonda le sue radici nella teoria della sovrapposizione quantistica, una proprietà descritta proprio da Schrödinger in una celebre equazione. Nel mondo dell'infinitamente piccolo, particelle come elettroni e fotoni non "esistono" in un solo stato, ma in una combinazione di stati contemporaneamente. Una singola particella può attraversare due fessure nello stesso momento, come dimostra il famoso esperimento della doppia fenditura, e collassare in uno stato definito solo se viene osservata. Tuttavia, questo comportamento bizzarro sembra scomparire nel mondo macroscopico: un gatto non viaggia istantaneamente in due luoghi diversi né appare contemporaneamente vivo e morto. Il paradosso, quindi, solleva una domanda essenziale: quando avviene il passaggio dal microcosmo al nostro mondo quotidiano? È merito dell’osservatore? Del nostro modo di interpretare la realtà? Oppure della natura stessa della realtà, che forse è molto più "sfumata" di quanto immaginiamo? Immanuel Kant, secoli prima che Schrödinger formulasse il suo paradosso, aveva sostenuto che la realtà non è mai accessibile direttamente. Esiste sempre una "mediazione" della nostra mente, che organizza ciò che percepiamo secondo categorie come spazio e tempo. Ma la fisica quantistica sembra spingerci oltre il pensiero kantiano, suggerendo che la realtà stessa potrebbe dipendere dal nostro atto di osservarla. Il legame tra la fisica e la filosofia non è mai stato così profondo, ma il "gatto" ha anche trovato la sua strada nella cultura popolare. Negli anni Settanta, il celebre fisico Stephen Hawking definì la meccanica quantistica come "assurda" e affascinante allo stesso tempo, citando proprio l'esempio del paradosso di Schrödinger. E chi potrebbe dimenticare l’iconica scena nella serie televisiva “The Big Bang Theory”, in cui i personaggi discutono accanitamente del gatto vivo e morto? O ancora, il film “Avengers: Endgame”, in cui i Vendicatori usano il concetto di sovrapposizione quantistica per spiegare i viaggi nel tempo? La metafora del gatto di Schrödinger si è insinuata ovunque, da romanzi di fantascienza a video musicali, fino ai meme che circolano sui social. Dietro questa leggerezza, però, si nasconde un pensiero complesso e provocatorio: il gatto incarna l’incertezza della nostra conoscenza e la fragilità del nostro modo di percepire la realtà. Anche il mondo della letteratura ha trovato ispirazione in questa "sovrapposizione".
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