Se Epepe si presentava subito come un incnoo, Tempi felici appare sin dalle prime battute come un divertissement lieve – quasi uno schnitzleriano girotondo. Solo in una commedia, infatti, farsi crescere un paio di baffi può sottrarre un giovane ebreo alle terribili Croci Frecciate nella Budapest della fine del 1944; e solo in una commedia il giovanotto in questione può vivere le sei terribili settimane dell’assedio dei sovietici, in una città squassata dai bombardamenti e ridotta allo stremo, come una parentesi beata, deliziosamente propizia agli amori clandestini, riuscendo a farsi proteggere, nutrire e coccolare da prostitute e borghesi, da giovani e da vecchie – e perfino da una miliziana fascista.
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