Il mio scomparso amico Richard Wilhelm, che insieme a me ha curato questo volume, m’inviò il testo del Segreto del fiore d’oro in un momento piuttosto problematico per il mio lavoro. Eravamo nell’anno 1928. A partire dal 1913 mi ero impegnato nell’indagine dei processi dell’inconscio collettivo ed ero pervenuto a risultati che mi apparivano discutibili da non pochi punti di vista. Essi non solo si situavano molto al di là di tutte le nozioni della psicologia "accademica”, ma oltrepassavano anche i confini della psicologia medica a orientamento personalistico. Si trattava di un’ampia gamma di fenomeni, cui non erano più applicabili le categorie e i metodi finora conosciuti. I miei risultati, che si fondavano su studi protrattisi per quindici anni, apparivano campati in aria dal momento che non si offriva loro alcuna possibilità di verifica. Non conoscevo nessun ambito dell’esperienza umana cui essi avrebbero potuto appoggiarsi con qualche sicurezza. Le uniche analogie, del resto molto remote nel tempo, che mi fossero note, le trovai sparse negli scritti degli eresiologi.
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