Félix Nadar - Ritratti (2025)
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Prefazione Impossibile(Non) scritta da Roland Barthes. Il libro è un corpo che si apre, una pelle di carta che rivela un'epidermide di segni. La prefazione, tuttavia, non è il prologo di questa anatomia, ma piuttosto la sua cicatrice. È il punto in cui il lettore, ancora sulla soglia del testo, incontra un discorso che non è ancora il libro stesso, ma un'eco, un'esitazione. La prefazione, in questo senso, non è un'apertura, ma una sospensione. È il luogo dove il "parlar d'altro" si fa meta-discorso, una voce che si interroga sul proprio diritto di esistere prima di ciò che è.Di cosa si dovrebbe parlare, dunque? Non del libro, poiché non è ancora stato letto. Non dell'autore, poiché la sua voce autentica si manifesterà solo all'interno della pagina. Dobbiamo parlare di questa aporia, di questo vuoto iniziale. L'atto di scrivere una prefazione è simile a quello di fotografare una fotografia: si produce una seconda immagine, una seconda scrittura, che non aggiunge nulla all'originale, ma ne attesta, in modo perverso, la sua esistenza. È un'operazione che si annuncia come superflua, e proprio in questa superfluità trova il suo senso, il suo punctum retorico.La prefazione è la traccia di un incontro mancato, il segno che il critico, o chi per lui, ha toccato il libro senza poterlo realmente penetrare. È un'impronta digitale sulla copertina, non il palmo della mano all'interno del testo. Questo atto, questo gesto, non è né un elogio né un giudizio; è un sintomo. È il sintomo di una lettura che vorrebbe farsi parola, ma che resta un balbettio, una fascinazione sospesa tra l'odore della carta e la forma del carattere. Così, questa "prefazione" non è una guida, ma un'esitazione. Un segno di punteggiatura prima della frase, un respiro prima del discorso. È l'unica cosa che può essere detta prima che tutto sia detto: il silenzio della nostra attesa.